Le Eolie e il Cinema

Il volto delle Eolie, emblematico titolo scelto dalla Pana­ria Film per illustrare le immagini di Francesco Alliata, Renzo Avanzo, Quintino di Napoli e Pietro Moncada, potrebbe essere il leit motiv della storia d'amore tra il cinema e queste isole. Perché è innegabile che d'amore si tratta, anzi di un vero e proprio coup de foudre per questi scogli neri di lava e bianchi di pomice, per questa natura prepotente e selvatica, spinosa come i fichi d'india, ma calda ed appassionata come le ginestre in fiore.
l viaggiatori stranieri che, nel XVIII e XIX secolo, avevano visitato le Eolie per desiderio d'avventura e di scoperta, non avevano influito in alcun modo sui costumi locali ma avevano tuttavia raccolto immagini e testimonianze a noi oggi utilissime per ricostruire il passato più recente di queste terre. La prima forte influenza socio-culturale si deve ai confinati politici, negli anni venti e trenta. Per la prima volta, forse, s'instaura una relazione interpersonale tra "straniero" ed isolano, fruttuosa e determinante per entrambi: sia per chi intuisce, al di là degli scogli e del mare, una civiltà millenaria e complessa, sia per chi, dall'altro da se, impara un'altra dimensione culturale.

Nitti, Lussu, Rosselli e Malaparte non passano invano nelle Eolie ma lasciano un segno profondo, dando agli isolani uno spessore culturale, una dimensione letteraria che costituirà un ulteriore passo verso quel processo di trasformazione che muterà il volto delle Eolie. In questo processo di trasformazione un ruolo importante è svolto proprio dal cinema che, dopo l'esperienza documentaristica di Alliata, Avanzo e Moncada, comincia ad investire energie umane ed economiche in una serie di produzioni che animano improvvisamente la vita di questi "scogli immersi nel blu".

Nel 1949 Dieterle e Rossellini cominciano, quasi contemporaneamente, le riprese di "Vulcano" e di "Stromboli"; sceneggiatori, costumisti, sarte ed operatori si affannano intorno alle dive del momento, Anna Magnani ed Ingrid Bergman, che si guardano in cagnesco da una costa all'altra: l'una con passionalità popolana, l'altra con nordica alterigia. Mai tanta animazione aveva turbato la quiete secolare di quelle pietre laviche, di quei neri sentieri sabbiosi; ma della gente, di quella gente dal volto scavato dal vento e dal sale, di quegli uomini piegati sulle giovani viti e sulle reti, di quelle donne intente e serie, con grandi mani laboriose e grandi occhi intensi e neri, di quei bambini, magri e scattanti come animaletti selvatici, nulla o appena qualche parola, il nuovo mezzo espressivo riesce in realtà a dire.

Nelle cronache giornalistiche di quegli anni nasce il mito dell'isola selvaggia: ma l'uomo, la sua cultura, la sua storia, la sua meravigliosa dignità, non giovano alle cronache scandalistiche quanto gli amori di Ingrid ed il furore di Nannarella. Il tutto incorniciato da un mare perennemente in tempesta, da un vulcano al massimo del suo splendore nelle potenti colate al tramonto. Eppure l'uomo c'era e, piano piano, mutava il suo profondo legame con la natura, la terra, il mare.

Piano piano ma inesorabilmente, nasce nell'uomo delle Eolie la consapevolezza che la vita è anche "altrove": oltre l'incanto senza tempo degli scogli perduti nel mare e ancora inviolati. Così, piano ma inesorabile come un infausto destino (lo stesso che ha violato le grandi foreste pluviali e le barriere coralline; che ha decimato i Maori neozelandesi e i Tupi dell'Amazzonia) l'altro da se" inventa nuove possibilità, inventa un'altra vita. Le grandi mani nodose, che intrecciavano viticci, che picconavano la pomice e tessevano le reti, scoprono l'impasto del fango e del cemento per costruire strade e case. Poi giungono ricchezze inaspettate, dopo la grande emigrazione, e rumori e caos, dopo il lungo, secolare silenzio. Attraverso il cinema è possibile ricostruire la storia più recente delle Eolie: dal mito dell'isola selvaggia di "Vulcano" (1949) e di "Stromboli" (1949), attraverso "L'Avventura" di Antonioni (1960), che rappresenta il percorso interiore dell'uomo alla ricerca del "se", fino all'abbagliante splendore dell'episodio di "Kaos" dei fratelli Taviani (1983), indimenticabile affresco sui toni dell'indaco e del bianco.

Il rimpianto di tanta bellezza silenziosa ma oscurante, inconsapevolmente prepotente, dura e misteriosa giustifica e chiarisce la scelta di Moretti, di quelle sue "Isole" esagerate e caotiche, ibride e contrastanti: microcosmi simbolici dell'assoluta, inesorabile follia del nostro tempo, che distrugge non solo con gli idrocarburi e le armi nucleari, ma anche e soprattutto con l'uniformità e la dimenticanza. Nell'aura del rimpianto si colloca anche "II Postino" di Massimo Troisi, girato a Pollara, nell'isola di Salina, poco prima della morte dell'attore. Ma qui il rimpianto ha un diverso sapore, anzi è un suono: il suono incessante delle onde, il fruscio intrigante delle foglie, il battito misterioso e profondo della vita nel ventre materno. E' il rimpianto di chi scopre il senso della vita quando sta per perderla; di chi guarda alla morte con la consapevolezza che tutto passa senza finire mai del tutto: perché il valore dell'uomo è nel messaggio che lascia ai figli e nella memoria degli amici e nella scoperta della poesia che è in ciascuno di noi e che un soffio basta a risvegliare. La pena, scrive Mario Luzzi, è durare oltre quest'attimo. Troisi ci è riuscito.

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