Stromboli

Dagli abissi del Tirreno si erge in una sinfonia di colori la mole dello Stromboli dalle pendici slanciate che si stagliano vigorosamente in un cielo di zaffiro. Sulle falde orientali, coperte di un manto di verde, spiccano linde e civettuole tipiche casette bianche che, vedute dall’alto, danno la vaga sensazione di uno sciame di candide farfalle posate su un vasto prato di smeraldo. Alcune, disposte lungo spiagge nere come l’ebano o presso scogli lavici, offrono strani contrasti di tinte. Altre case sono appollaiate attorno alle chiese o si celano tra uliveti centenari. Altre in fine si inerpicano sulle pendici scoscese del monte; sono per lo più diroccate e un tempo offrirono asilo agli Stromboliani che in esse si rifugiavano per sfuggire alle scorrerie notturne dei pirati saraceni. Attorno al paese si allineano lungo siepi di fichi d’india che segnano spesso il limite delle proprietà. Sparsi capricciosamente sulle balze o aggrappati ai muri, i capperi fanno bella mostra della loro forma di strani ombrelli verdeggianti che, nella stagione estiva, si ornano di vistosi, candidi fiori. In primavera i folti ulivi e i vigneti, a tratti intercalati da filari di glicine, di roveti e di ginestre, ingolfate in un mare di alte erbe frammiste a mille fiori selvatici offrono un incantevole scenario policromo tra effluvi inebrianti. Una nota sinfonica completa il quadro idilliaco: è la nenia delle cicale ebbre di sole e di profumi. A questo versante orientale dell’isola, rivestito di lussureggiante vegetazione e inondato da un oceano di luce, fra tanto sorriso di mare e splendore di cielo, contrasta il versante nord: glabro, aspro, caliginoso e teatro sovente di fenomeni apocalittici. In tale stridente antitesi di scenari consiste la tipica peculiarità di Stromboli. L’isola sorge da fondali che vanno dai 1.100 ai 1.200 metri per cui l’altezza assoluta del cono è tra 2.026 e i 2.126 metri. La sua sommità, detta Serra Vancori (926 m s.l.m.) è l’avanzo di un antico cratere vulcanico, costituito da lave andesitiche. A oltre 200 metri al di sotto di questa cima si apre l’attuale cratere attivo, limitato a Est e a Ovest dai torrioni e da due creste, formati da banchi di lava, da conglomerati e dicchi, dette: Filo del Fuoco l’orientale e Filo di Baraona l’occidentale. Le quattro unità morfologiche che costituiscono l’isola sono: l’antico vulcano-strato (paleostromboli) di Serra Vancori a Sud, la Cima (918 m) cinquecento metri a Nord del primo, il cratere attuale con cinque bocche attive, 300 metri a Nord (Neostromboli) della Cima e il neck di Strombolicchio che rappresenta un cono avventizio. L’apparato vulcanico di Stromboli si trova nell’intersezione di due faglie, una con direzione SW-NE, passante per Lipari e Panarea e l’altra con direzione EW, che attraversa i due rilievi sottomarini a meno di 1.000 di profondità a Ovest di Stromboli. Nella terrazza craterica si osservano delle bocche eruttive il cui numero varia continuamente. L’attività di queste consiste nel lancio di brandelli di lava e di scorie incandescenti, accompagnate da esplosioni più o meno violente, da emissioni di vapori e da efflussi lavici. Spesso le varie bocche sono attive contemporaneamente in forma diversa, ma la manifestazione del vulcano consiste nell’attività moderata di lancio di scorie coeve che specialmente di notte offron o uno spettacolo indimenticabile Questa attività moderata, a volte, viene interrotta da brevi ma violente fasi esplosive che talvolta si concludono con effusione di magma che si riserva lungo il pendio della Sciara del Fuoco. Le più notevoli eruzioni sono quelle degli anni 1891, 1907,1915, 1919, 1930 una delle più disastrose, 1936, 19543, 1955, 1956, 1959 e 1966. Il 28 febbraio 1955 è stata registrata un’eruzione interessante: si è trattato di un evidente efflusso laterale che apparve al livello o poco al di sotto del livello del mare nella Sciara del Fuoco. Le colate laviche non presentano alcun pericolo per gli abitanti dell’isola, poiché esse defluiscono lungo la Sciara del Fuoco, non potendo deviare in altre zone per l’esistenza dei fili che la limitano. Molti autori in passato hanno sostenuto che lo Stromboli non ha mai dato luogo a efflussi lavici e lo hanno descritto come un vulcano ad attività esclusivamente esplosiva, tanto che da esso ha preso nome nella terminologia vulcanica quella particolare attività detta appunto “stromboliana”. Le registrazioni dell’attività effusiva confermano però che l’attività di questo vulcano non ha unicamente carattere esplosivo, ma è anche effusiva con efflussi lavici che a volte durano a lungo. L’attività dello Stromboli non differisce essenzialmente da quella dei vulcani a magma basico con condotto normalmente aperto e pertanto dobbiamo ritenere che in ogni tempo si sia avuta un’attività effusiva poco appariscente unitamente a una attività esplosiva di maggior rilievo e più facilmente rilevabile. Possiamo però concludere che lo Stromboli, per l’esistenza di entrambe le forme eruttive, viene a porsi tra i vulcani più attivi della Terra. Effettuando il periplo dell’isola e iniziandolo dal vasto lido di Scari, si presenta allo sguardo la zona di Punta Lena, dove si notano case bianche tra alte palme che conferiscono al paesaggio un’impronta araba. Al centro eccelle un vecchio stabilimento sormontato da un alto camino, il solo che si profili nel cielo dell’isola. Procedendo verso Nord, doppiata Punta Lena, si costeggia un lido addossato a una parete di tufo, dopo la quale si apre la spiaggia centrale dell’isola, detta Ficogrande, dove approdano i piroscafi che collegano Stromboli con la Sicilia e la Campania. Questa spiaggia come pure quella di Scari, fino alla prima guerra mondiale ospitava grossi velieri che rendevano la marina mercantile di Stromboli la più importante dell’arcipelago oliano. Continuando il giro di circumnavigazione si profilano alte pareti rocciose che si avanzano decisamente nel mare. Doppiate queste si schiude, all’occhio meravigliato, la grandiosa visione della Sciara del Fuoco, ripido  e ampio pendio solcato da torrenti di lava, che affluiscono verso il mare e percorso da enormi blocchi incandescenti, che rotolano a valle tra un turbinio di dense volute di vapore e folate di cenere. In cima alla Sciara, a 700 m di quota, si osserva l’apparato eruttivo che si apre profondamente incassato tra giganteschi dicchi e imponenti masse di conglomerato vulcanico spesso avvolti da caligine e bersagliati dal materiale rovente lanciato dalle bocche eruttive. Lo spettacolo che offre la Sciara assume particolare interesse nelle ore notturne: le colate sembrano allora fantastici torrenti di fuoco, mentre le tenebre vengono fugate da fasci luminosi di scorie infuocate, i cui vivi bagliori si riflettono sinistramente sul mare. A volte i rivi incandescenti sembrano immobili e sospesi nel vuoto per la cortina di nebbia che avvolge di solito la china. Di tanto in tanto dei rigagnoli si staccano dal loro corso con la sagoma di enormi, spaventosi draghi di nibelungica memoria. Altri rivi, fluendo con moto impercettibile, si biforcano, si ramificano come fiumi nel loro delta. Spesso il cratere lancia ammassi incandescenti di proporzioni smisurate che a notevole altezza si aprono a ventaglio lasciando piovere, per ampio raggio, una miriade di scorie e di blocchi luminosi simili a pioggia di meteoriti. A Roma in Piazza S. Pietro le fontane del Bernini illuminate non danno che una scialba idea di tale spettacolo. I blocchi di fuoco piombano sulla Sciara frantumandosi in mille schegge come le scintille che sprizzano dal ferro rovente martellato sull’incudine. Spesso il cratere, come ritmo sempre più intenso, proietta materiale su materiale, dando luogo a innumerevoli scie luminose che s’intersecano reciprocamente, offrendo una fantasmagorica di luci. I blocchi a volte piombano sulla china, non si frantumano, ma rotolano giù finche, cozzando contro dicchi, si librano nel vuoto descrivendo ampie curve paraboliche; infine cadono in mare, con fragoroso tonfo, facendo innalzare alte colonne d’acqua. Brandelli lavici precipitano sulla riva, saltellando tra le scogliere e scompaiono; altri, più piccoli e veloci,si perdono in lontananza, oltre il limite della Sciara. Il materiale che rotola giù al par d’una frana produce un caratteristico suono metallico in mezzo al barbaglio di luci rossastre. Sulle densi nubi di vapore librate costantemente sull’isola si riverberano le mille luci con infinite gradazioni tra mirabili giochi di ombre, mentre sul mare i bagliori producono tremolanti luccichii che si inseguono fino a spegnersi lontano nel buio. I banchi lavici che ai due lati limitano la Sciara sono tinti dai riflessi di fuoco che conferiscono loro l’aspetto di bolge dantesche. A Nord – Ovest un promontorio divide la Sciara del Fuoco dalla borgata di Ginostra che si adagia in un vasto anfiteatro con le sue casette dominanti precipizi rocciosi orlati di agavi o ingolfate tra fichi d’india e oliveti, che ammantano tutta la zona conferendole un incantevole tono idilliaco. Si accede alla borgata attraverso gli scali di Lazzaro e di Pertuso, il più importante. Un insediamento è stato identificato sul timpone di Ginostra: appartiene alla cultura di Capo Graziano (XVII – XVI sec. a.C.). Dopo Ginostra si susseguono costoni di roccia alternati da frane di massi e profondi canaloni sabbiosi che, dalla vetta del monte, scendono ripidamente fino al mare. A questo scenario grandioso, ma selvaggio e sterile, contrasta quello che segue costituito da una zona pianeggiante denominata Lena. Tra il verde diffuso delle ginestre, dei fichi d’india e degli ulivi occhieggiano qua e là poche e minuscole case dalla solita, originale forma cubica. L’abitato di Stromboli, fino alla prima metà del secolo scorso, si estendeva in prossimità del mare, lungo le spiagge di Scari, Ficogrande e la scogliera di Piscità. Oggi la zona centrale del paese si adagia più a monte. Case per lo più basse, ma belle nella loro semplicità, biancheggiano tra un mare sconfinato di verde. In pretto contrasto con le umili case troneggiano, con superbi campanili e cupole, i due artistici templi, a tre navate, di S. Vincenzo Ferreri e San Bartolomeo. Sulla piazza prospiciente la Chiesa di S. Vincenzo Ferreri  fino a pochi anni or sono s’innalzava su di un plinto in muratura una colossale croce di legno. Era stata eretta il 22 agosto 1902 da nobili Francesi che, diretti in pellegrinaggio in Terra Santa, si erano soffermati nell’isola. Tale sosta, successivamente, si ripeteva ogni anno e la più parte dei pellegrini effettuava l’interessante escursione alla zona craterica e alla vetta del monte, mete che hanno sempre costituito l’attrattiva maggiore di Stromboli. Nel 1975, durante l’esecuzione dei lavori di sbancamento della strada litoranea che collega lo scalo di Ficogrande con quello di Scari, è stata scoperta una necropoli greca con tombe della fine  del IV e dei primi decenni del III sec. a.C. Tra il copioso materiale venuto in luce meritano particolare menzione alcuni vasetti di corredo di pregevole fattura decorati nello stile di Gnathia e terrecotte teatrali, in cui si riconoscono personaggi delle commedie di Menandro.

 
Strombolicchio

A un miglio da Stromboli si erge dal piano del mare un mastodontico scoglio che arieggia la sagoma di un tozzo castello medioevale. E’ cinto da titaniche pareti rocciose strapiombanti sul mare e sormontate da alti merli dalle linee grottesche. L’isolotto rappresenta un neck vulcanico. Osservato di scorcio con la sua mole imponente e col suo movimento di masse, offre uno spettacolo altamente suggestivo. Se non che lo scoglio, nonostante le sue parvenze di baluardo inaccessibile, non scoraggiò l’uomo che volle tentare la scalata per conquistare la vetta; ancora, nella parte inferiore, sono visibili tracce di gradini scalpellati nella dura pietra. Nel 1920 vennero iniziati i lavori per la costruzione di una scala e di una terrazza sulla piattaforma superiore. Sette anni dopo l’ardua impresa veniva condotta felicemente a termine: la costruzione di un’ottima scala di oltre duecento scalini e di una vasta terrazza, dominata da un faro, era un fatto compiuto. In origine lo scoglio era alto 56 metri e venne ridotto a 43 m. E’ costituito da una roccia intermedia tra i basalti e le andesiti ad augite. Dalla terrazza si protende nel vuoto un balcone da dove si ammirano le caratteristiche peculiari di strombolicchio: spuntoni di rocce in cui germogliano basse piante di capperi e di fichi d’india; scogli foracchiati per l’azione abrasiva del mare, profonde scanalature e grotte dove nidificano gabbiani; rupe aggettanti dalla forma di colossale testa equina; ciclopici bastioni che cadono a picco sul mare ed esili scogli che si slanciano con ardite forme. Dall’alto ballatoio del faro l’immensa distesa marina appare circondata, a oriente, dalla catena dell’appennino  calabro e, a mezzogiorno, accanto alla vigorosa mole dello Stromboli, dai Peloritani e dai Nebrodi, al di sopra dei quali si disegna la cima dell’Etna. Il più delle volte la cerchia montana, avvolta da densa caligine, si ammira in un’atmosfera di sogno. Col bel tempo la visione notturna di Strombolicchio è fantasticamente suggestiva. I raggi della luna scherzano tra i pinnacoli e i merli giganteschi dalle strane forme che si estendono sul mare tra riflessi tremuli e argentei, mentre lo scoglio con la sua forma massiccia si delinea serio, muto, assorto.
 

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